Vento di scirocco.
Inatteso, furibondo, scomposto.
Poi la quiete.
L’aria ancora carica di pulviscolo si fa più mite, e il cielo addensato scarica il suo lungo avvertimento. Pioggia!
Nell’aria adesso si propaga il suo fragore e gocce d’acqua si impattano sul vetro della finestra, scivolando per gravità su questa, tracciando irregolari linee su una superficie che sembra separare due mondi.
Il dentro e il fuori, l’interno e l’esterno, ciò che siamo da ciò che vediamo.
Ma questo gioco di barriera, di opposizione di due mondi, che la finestra sembra restituirci, non è solo illusorio ma al contrario ci proietta con forza in uno slancio senza soluzione di continuità verso l’altrove.
E l’altrove, dalla finestra del mio B&B corrisponde quasi sempre a Carini.
Un luogo, un territorio, una città meravigliosa, ancorché articolata e pervasa da una storia millenaria pronta per essere raccontata, ascoltata e vissuta e che sembra però rimanere in ossequioso silenzio all’ombra dell’insigne e maestoso Castello che involontariamente trattiene per sé tutta la fama, troneggiando sul paesaggio circostante.
Se la Casa di Evita, fin dal suo disserrarsi è stata concepita da me come un ponte che potesse mettere in comunicazione e relazione, persone e culture, le sue finestre, queste apparenti mancanze di materia, intelaiate all’architettura del B&B, mi consentono di gettare uno sguardo contemplativo su una realtà a cui sono legata a doppio filo, affettivo e lavorativo, lasciando attivare immaginazione e incoraggiando idee.
E idee, e forse un pizzico di coraggio, sono ingredienti che più ce ne, e meglio è. Specialmente in una piccola città di provincia, dove sembra che l’aria abbia alcune caratteristiche dello scirocco, capace di ammatassare la mente relegandoti in un angolo, immobile, nella sola attesa che passi.
Così, con qualche idea e una grande determinazione, ho deciso di impegnarmi su due fronti. Da un lato, il mio lavoro, il mio mondo, la Casa di Evita.
Dall’altro, la voglia di incidere un segno su un territorio ricco di potenzialità, che sente il bisogno di una nuova narrazione attraverso gesti che possano incuriosire, sensibilizzare e generare un legame con la città e il territorio.
Nasce da qui, da questa semplice idea, tra le altre cose e ad esempio Vicolo dei Fiori.
Una strada che sentiva l’esigenza di riconnettersi allo spazio urbano cittadino, raccontando la propria trasformazione attraverso nuovi colori, decorazioni e installazioni artistiche che rimandano l’osservatore al senso simbolico della finestra, perché questa ci restituisce un’immagine rielaborata del nostro sentimento della vita.
E succede sempre, ogni volta che il nostro occhio getta lo sguardo su un telaio, antagonista alla mera e utilitaristica realtà.
Una finestra, un quadro e perfino la schermata del nostro PC, che ci consente di aprire finestre su finestre proiettandoci su innumerevoli altrove, che superano e sfidano la nostra presenza fisica in questo ora o in questo spazio/tempo.
E nessuna finestra può lasciare indifferenti, una volta individuata.
E forse nemmeno la Casa di Evita, che non si è mai accontentata di essere solamente una stanza confortevole da offrirsi al viaggiatore.
Ma tiene in sé l’azione e un credo. Lo sfavillio sottile delle nostre vite.