Un papà t’insegna a guardare i colori e i significati della vita attraverso i suoi occhi e il suo cuore.
E quando non ci sarà più, ti accorgerai che ti ha regalato un po’ dei suoi occhi e un po’ del suo cuore.
Leonid Afremov
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Papà…
Quanto è immensa questa piccola parola? Nel cuore di ogni bimbo risuona come il richiamo dell’eroe più bello e più forte, quello il cui abbraccio lo terrà al sicuro, quello il cui sorriso significa che i desideri saranno esauditi perché lui sarà felice di donargli ogni cosa… E nel cuore di un adulto che conserva il papà ormai solo come un ricordo, forse quel nome risuona ancora più forte… con la forza di una vita intera vissuta insieme, nel bene e nel male, perché in ogni famiglia possono esserci incomprensioni e allontanamenti, ma sempre e comunque legati da un amore infinito.
Il mio caro papà, Vito Musso, non è più con noi ormai da diversi anni, eppure io sento sempre vicina la sua presenza e non manco mai di ricordarlo insieme ai miei figli. Ciò che siamo oggi lo dobbiamo a chi ci ha preceduti, ci ha donato senza riserve il suo amore e ci ha trasmesso i valori e le tradizioni in cui credeva.
Mio padre ha scelto di darmi il nome di quel santo che è il papà per eccellenza, e io sono felice e fiera di portare questo nome. Non a caso nel nostro paese si è scelto di celebrare la festa del papà nel giorno di San Giuseppe, perché lui più di ogni altro ci ha dato un esempio immenso di cosa significhi essere padre: vivere compiendo il più grande gesto d’amore per la propria famiglia, proteggendola, guidandola e prodigandosi per il suo benessere in ogni modo possibile.
Nella nostra tradizione, Giuseppe è il santo della generosità, della condivisione, della solidarietà nei confronti dei meno fortunati… Chi di voi ricorda quella meravigliosa tradizione delle Tavolate di San Giuseppe, che avevamo a Carini fino a qualche decennio fa? Ecco un’altra delle cose belle del passato che mi piacerebbe far ritornare: le chiese si facevano luoghi di aggregazione e di festa dove tutta la comunità si ritrovava nel nome dell’amore per Dio e per il prossimo: chi aveva la possibilità, preparava e portava manicaretti d’ogni genere – dalla pasta al forno all’arrosto, dai vrocculi e carduna in pastedda al gâteau di patate, dalle torte alle sfince, fino al pane benedetto di San Giuseppe, ognuno metteva il suo e lo offriva a chi aveva poco. Quelle tavolate imbandite erano uno spettacolo per gli occhi e una gioia per il cuore, soprattutto quando si vedevano i bimbi delle famiglie più povere correre felici a mangiare cose che per il resto dell’anno manco si sognavano!
Ahh, che belle queste cose! Ma perché mai la generazione di oggi ha deciso che per andare verso il futuro bisogna perdersi per strada il passato, davvero non lo capirò mai. Come ho già scritto tempo fa, io credo fermamente che le tradizioni e la storia di un popolo sono come le radici di un albero, devono essere solide e forti perché l’albero possa innalzarsi e crescere rigoglioso; se invece si tagliano… bèh… se si tagliano, abbiamo una società allo sbando come quella attuale.
Ma io sono sempre qui, a sperare che il vento cambi e cominci a soffiare nel verso giusto… d’altro canto, è quasi primavera e ogni primavera è una rinascita e un nuovo inizio.
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È una leggenda nota a pochi, ma a me piace sempre tanto ricordarla: quando nacque Gesù, durante il lungo viaggio che la Sacra Famiglia dovette compiere per fuggire dal malvagio Erode, si racconta che San Giuseppe, per sfamare Maria e permetterle di allattare il Bimbo Divino, si mise a preparare e vendere delle particolari frittelle dolci che riscossero grande successo in tutto l’Egitto! Certo, quelle di Giuseppe saranno state più semplici delle nostre opulente sfince siciliane, ma è da questa leggenda che si originano ed è per questo che è nata l’usanza di mangiarle proprio nel giorno di San Giuseppe: sono un dolce che rende omaggio all’amore paterno, alla sua dolcezza e all’abbondanza che esso ci dona.
Per l’occasione, condivido qui con voi la RICETTA delle sfince presa direttamente dal ricettario di nonna Pippina, con l’augurio che per l’anno prossimo si riesca a organizzare di nuovo una bella Tavolata di San Giuseppe in cui possiamo tornare a dare e condividere tutti insieme.
SFINCE DI SAN GIUSEPPE
Ingredienti per l’impasto
500 grammi di farina 00
500 ml di acqua
5 uova fresche biologiche
100 grammi di strutto (o burro o margarina)
Una presa di sale
Una presa di bicarbonato
Una bustina di vanillina
Abbondante olio di semi per friggere
N.B. Per rendere più aromatico l’impasto ed esaltare poi il sapore della crema di ricotta con le gocce d cioccolato, mia nonna aggiungeva il succo e la buccia grattugiata di mezza arancia (oppure un cucchiaino di marmellata di arance fatta in casa). A voi la scelta di provarlo.
Ingredienti per la crema di ricotta
N.B. Queste dosi sono per la versione maritata (cioè, ripiena anche dentro); se preferite quella schietta (con la crema di ricotta solo sopra), basta dimezzare tutto.
1 kg gr di ricotta
500 gr di zucchero
100 gr di gocce di cioccolato fondente
Scorzette d’arancia e ciliegie candite q.b.
Granella di pistacchi q.b.
Zucchero a velo vanigliato q.b.
PROCEDIMENTO
Versate l’acqua in un tegame e, appena sfiora il bollore, mettete lo strutto e il sale e fate sciogliere, mescolando delicatamente. Aggiungete la farina e la vanillina continuando a mescolare fino a ottenere un impasto compatto e omogeneo.
Togliete dal fuoco e lasciate raffreddare. Lavoratelo un po’ con un cucchiaio di legno, poi aggiungete le uova una a una, facendo attenzione a unire l’uovo successivo solo quando il precedente è ben assorbito. Infine aggiungete il pizzico di bicarbonato (e le varianti aromatiche di nonna Pippina, se volete provarle) e lavorate fino a quando il composto sarà ben amalgamato.
In un altro tegame, bello capiente, scaldate l’olio e tenetelo stabile a fuoco medio. Prendete l’impasto a cucchiaiate e versatele delicatamente nell’olio caldo, facendo attenzione a non schizzarvi. Le sfince, in cottura verranno a galla, quindi dovrete continuamente immergerle per far sì che la doratura sia uniforme. Man mano che saranno pronte, prendetele con una schiumarola e ponetele ben separate su un piatto preparato con carta assorbente.
A parte, passate la ricotta al setaccio per tre volte (o, se siete più tecnologici di me, usate il robot da cucina), quindi lavoratela con lo zucchero, aggiungete la cioccolata e amalgamate bene il tutto finché otterrete un effetto morbido, spumoso e leggero.
A questo punto, se avete scelto la versione schietta, condite la parte superiore di ogni sfincia con generose cucchiaiate di crema di ricotta e decorate con le scorzette d’arancia candite, le ciliegine e la granella di pistacchi; se invece volete proprio godervela e avete preferito le sfince maritate, prima della parte superiore, spaccatele a metà come panini e mettete la crema di ricotta anche all’interno.
BUON APPETITO!
Un mondo di auguri a tutti i papà, a tutti i Giuseppe e le Giuseppine
Giusy